RICERCHE IN MARE
Ogs, scoperta la faglia del golfo di Trieste
Racconta come si è sollevato il Carso decine di milioni di anni fa. Il rischio sismico
Il suo studio a mare è iniziato nel 2005, ma è stata caratterizzata in dettaglio solo un paio di anni fa. Oggi, conclusa l’elaborazione dei dati, la Faglia del Golfo di Trieste aggiunge un tassello alle conoscenze dell’evoluzione geologica di quest’area e induce la comunità scientifica a rivedere l’approccio allo studio dell’Alto Adriatico, rivalutandone anche i rischi naturali.
A completare lo studio durato sette anni è stata Martina Busetti, geofisica marina di Ogs, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale che, assieme ai colleghi Valentina Volpi, Fabrizio Zgur, Roberto Romeo e Riccardo Ramella direttore del dipartimento Rima, ha effettuato una serie di acquisizioni di dati nel Golfo di Trieste, anche in convenzione con la Regione Friuli Venezia Giulia.
Il Golfo di Trieste era già stato studiato negli anni cinquanta e sessanta, nel corso di rilievi compiuti sempre dall’Istituto, che allora si chiamava Osservatorio Geofisico Sperimentale, durante la fase pionieristica delle acquisizioni marine. Ma le strumentazioni e le tecnologie dell’epoca non consentivano di ottenere informazioni precise.
«La prima acquisizione recente – spiega Martina Busetti – è del 2005, quando a bordo della nave Ogs Explora abbiamo studiato questa parte di Golfo utilizzando la sismica a riflessione multicanale». La tecnica è simile alle ecografie mediche: si basa sull’invio di onde acustiche molto intense - emesse da cannoni ad aria compressa - che si propagano attraverso l’acqua e penetrano nei sedimenti sotto il fondale marino; quando incontra variazioni strutturali (petrofisiche) nelle rocce e nei sedimenti, una parte delle onde viene riflessa, torna in superficie ed è registrata da sensori collocati in un cavo sismico trainato dalla nave a pochi metri dalla superficie dell’acqua.
Il modo in cui le onde acustiche sono riflesse durante il cammino rivela, a chi sa interpretare i segnali, la geometria dei sedimenti rocciosi e le deformazioni subite che, a loro volta, raccontano l’evoluzione geologica del luogo.
Alla prima acquisizione è seguito un secondo ciclo di indagini (2009), che hanno permesso di rivedere e aggiornare la geologia profonda del Golfo. Sono stati così acquisiti 500 km di cosiddetti “profili”, cioè immagini di sezioni verticali del fondale, lunghe da 7 a 60 km, con una profondità di indagine di diversi km.
da il piccolo 2 marzo 2012
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