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domenica 12 febbraio 2012

CARSO, TRA NATURA, STORIA E LEGGENDA


TRA NATURA, STORIA E LEGGENDA

Una delle zone più singolari e affascinanti dell’Alto Adriatico, dove scegliere tra tante proposte di qualità: spiagge attrezzate, castelli storici, luoghi d’arte e di storia, agriturismi, viticolutra, passeggiate tra pinete e querceti e tanto altro ancora.

Fonti del Timavo
Entrando sul territorio della Provincia di Trieste, la prima meraviglia della natura è quella delle Fonti del Timavo. Sul Carso Triestino non c’è luogo più sacro e pieno di memorie come quello.
Leggenda e storia qui si fondono in un paesaggio malinconico e suggestivo. All’ombra di maestosi cipressi, pioppi e platani, che proteggono la bianca chiesa gotica di San Giovanni in Tuba, allineate lungo una cinquantina di metri, si trovano tre risorgive. Dalla prima, a ridosso di una parete di roccia, le acque scaturiscono da gallerie che si trovano a circa 70 m di profondità Capella votiva di uno sconosciuto, ricorda il culto che qui era offerto al dio Timavo, di probabile origine protostorica, forse veneta, come lo erano il bosco e il sacello sacro a Diomede, il fondatore di città l’eroe omerico, anch’esso legato ai Veneti e ricordato da Strabone. Altre lapidi erano dedicate al culto d’Ercole Augusto, compagno di Diomede in numerose imprese e a Saturno, il dio romano delle semine e dei raccolti. Dove oggi sorge la chiesa è probabile si trovasse un tempio dedicato alla Speranza Augusta, di cui si sono trovate quattro lapidi d’offerenti, provenienti da varie parti dell’Impero, che ringraziavano la divinità per la grazia ricevuta. Accanto alla Chiesa paleocristiana fu pure costruito un monastero, frequentato dai pellegrini. Entrambi gli edifici furono distrutti dalle scorrerie degli Ungheri. Sul terzo ramo del Timavo sono stati trovati resti archeologici che attestano la presenza di un porto frequentato dal V secolo a.C. e rimasto in uso sino al 1700. Il fiume Timavo, durante la prima guerra mondiale, faceva parte del sistema difensivo del Monte Ermada, tenuto con grande valore dagli austriaci, perché sbarrava la strada per Trieste; di conseguenza subì pesanti bombardamenti nel corso delle varie offensive. In questa zona fu ferito dai soldati austriaci il 27 maggio 1917, il Maggiore Giovanni Randaccio. Oggi, però accoglie il visitatore come un’oasi serena, dove il tempo sembra trascorrere quieto come le acque del fiume che vanno frettolose verso il mare.

Chiesa di San Giovanni in Tuba
La chiesa di S. Giovanni in “Tuba” o “in Tumbis”, appellativo derivato dalla credenza che i morti ivi sepolti sarebbero stati i primi a risorgere al suono della tromba del giudizio, ha avuto molteplici riedificazioni in questo sito alle Fonti del Timavo, luogo sacro fin dai tempi precristiani. Oltre all’ara al Dio Timavo, ivi si trovano epigrafi votive a Saturno, Ercole, Spes Augusta; nelle vicinanze la grotta del Mitreo conserva un bassorilievo con le figure del Cautes e del Cautopates. L’attuale edificio fu innalzato dai Walsee, signori di Duino. Presenta una nitida abside coronata da una volta a costoloni stellati e solcata in verticale da finestrature, il cui disegno è ripreso sul fronte meridionale. Adiacente al fronte nord troviamo addossato un edificio di minore entità che racchiude la sacrestia e si slancia verso l’alto in un semplicissimo campanile riportato, nella riedificazione, alle linee originali. Degli affreschi, di cui la chiesa era fregiata, l’unico frammento giunto a noi è quello che si può osservare sulla costola che sul lato nord delimita il presbiterio. La chiesa di S. Giovanni in Tuba risultò gravemente danneggiata dai bombardamenti nei conflitti mondiali; solo agli inizi degli Anni Cinquanta venne riedificata e restaurata a cura del Governo Militare Alleato e dell’allora Soprintendenza alle Belle Arti di Trieste. Testimonianza delle vicende storiche della Chiesa di S. Giovanni, oltre agli scavi, sono i vari reperti esposti nella sacrestia. Vi troviamo una lastra incorniciata nel cui campo risalta una croce a braccia quasi uguali con un foro, presumibilmente “fenestrella confessionis”. Di rilevante importanza è la lastra che riporta una parte dell’epigrafe del
patriarca Volderico I di Eppinstein, la quale costituiva uno dei lati del sepolcro e che testimonia il ritrovamento e la sepoltura delle reliquie dei beati (1113). Attorno alla chiesa c’era, fino al 1915, un cimitero di cui rimangono ancora alcune lapidi. I millenni di sacralità di cui questo luogo è permeato, i secoli di incessante preghiera qui innalzata alla divinità il luogo a cui è approdato il cristianesimo fin dai tempi più antichi, ci parlano ancora e ci invitano a riscoprire la storia e la fede dei Padri perché sia, oggi, anche la nostra.

Il fiume Timavo
Il Timavo, fiume ricordato da Virgilio, Livio e Plinio, nasce in Croazia, ai piedi del Monte Nevoso e, dopo un breve tratto, si inabissa nella voragine di S. Canziano per riemergere dopo circa 38 km di percorso sotterraneo. Il mito greco racconta che presso lo sbocco del Timavo si concluse il viaggio degli Argonauti, mentre secondo Stradone qui vi era il santuario dedicato all’eroe omerico Diomede. Alcune iscrizioni di epoca romana inserite nell’abside della chiesa di San Giovanni citano la Spes Augusta, Ercole e Saturno. A partire dal V sec. d.C. fu costruita una basilica, di cui rimane parte del pavimento mosaicato all’interno della chiesa attuale.
Nei pressi del monumento dedicato ai Lupi di Toscana sono visibili le tracce dei solchi carrai della Via Gemina, che collegava Aquileia a Tergeste.

Attorno alle risorgive del Timavo si dipartono in varie direzioni solchi incisi nella roccia, probabili relitti di una viabilità forse di origine preistorica, legata alla presenza dei cinque Castellieri dell’Ermada ed utilizzata dai romani, i quali si scontrarono qui nel 178 a.C. con gli Istri di Re Epulo.

Il castelliere di Slivia
I castellieri erano centri fortificati in altura, diffuse dall’età del Bronzo medio (7100-1365 a.C.). Quello di Slivia è uno dei meglio conservati del Carso triestino risalenti alla media età del Bronzo.
La cima circolare, che ha un diametro di circa 280 metri, è ben conservata sul lato nord-est, dove raggiunge i 5 metri di altezza, mentre a sud-ovest dalla prima cinta si distingue un pianoro, sfruttato a lungo per scopi abitativi, visto che le ceramiche recuperate durante gli scavi appartengono all’età del Bronzo, del Ferro e a quella romana. Durante la Grande Guerra sul castelliere vennero collocati
alcuni cannoni.

Sentiero delle trincee del Monte Ermada
La zona che circonda il Monte Ermada fu nel corso della prima guerra mondiale teatro di aspre battaglie Il sentiero conduce attraverso un tratto interessante per i resti di trincee e grotte, utilizzate come ricoveri durante le battaglie. Da Medeazza si imbocca il sentiero n. 3, passando pochi metri a Nord della cima del M. Ermada e continuando, tra trincee e caverne, sino all’incrocio con il sentiero n. 8 che conduce in vetta al M. Ermada (323m). Si prosegue sul medesimo sino a intercettare il sentiero Trincee M. Ermada che conduce sulla cima del M. Gabrnjak (297m). Dopo 100 m circa si devia a sinistra imboccando il sentiero 3a attraverso un’ampia vallata, per arrivare alle case Coisce.
Si continua sul sentiero n. 3a, arrivati a un quadrivio si tiene la destra e si continua fino al punto di partenza. Il percorso è mediamente impegnativo e si può facilmente collegare con altri sentieri segnalati, si può arrivare fino a Medeazza o a Malchina oppure, oltre confine, fino a Brestovica.

La grotta del Mitreo
Dalla seconda metà del II sec. a.C. all’inizio del V sec. d.C. all’interno della Grotta era adorato Mitra, divinità di origine indo-iranica, nato dalla roccia e pertanto venerato in ambienti sotterranei. Il mitraismo era un culto iniziatico di salvezza, riservato a un ristretto numero di fedeli; il momento culminante consisteva nel sacrificio di un toro. Come negli altri mitrei erano stati scavati due sedili in pietra. Sul fondo, una nicchia ospitava un bassorilievo – di cui è esposta oggi una copia in gesso – raffigurante Mitra che uccide il toro. Il Mitreo di Duino, uno dei più antichi d’Occidente, è l’unico in Italia a essere ricavato all’interno di una cavità naturale.

Grotta delle Torri di Slivia
La grotta delle Torri di Slivia è una delle più belle cavità che si aprono sul Carso triestino. Misura circa 300 metri di lunghezza e raggiunge 100 metri di profondità. La cavità si sviluppa con vari vani adornati da bellissime concrezioni di notevole interesse e rappresentazione scenica. Famose sono le sue torri stalagmitiche da cui prende il nome la grotta. L’area esterna della cavità è rappresentata da una zona dove sono presenti tutte le peculiarità morfologiche epigee del Carso triestino e da notevoli aree di interesse storico.

Sentiero Gemina
Iniziava da Aquileia la via Gemina, quella direttrice stradale dell’Antica Roma che consentiva di
collegare l’Occidente alle porte d’Oriente.
L’altopiano carsico è una sinfonia di rilievi e vallate di grande suggestione, con i suoi rari e preziosi fazzoletti di terra disposti a coltura, e i suoi borghi di pietra bianca a spazzare il fresco dominio del verde esuberante. In questo arcano paesaggio ritorna a nuova vita il sentiero Gemina. Nei suoi 17 km di sviluppo, Gemina connette i villaggi di Malchina a Sgonico (comune limitrofo), un sentiero attrezzato non solo per i pedoni, ma anche per bici e cavalieri, attraverso le località di Precenico,
San Pelagio, Prepotto, Ternova Piccola, Samatorza e Sales. Un’escursione comoda e accessibile che consentirà ai turisti grandi e piccini di conoscere con facilità un Carso fatto di querce e carpini, di calci e terre rosse scurite dal sole, di segreti spechi e abissi, di superfici superbamente colonizzate dalla generosa vite. All’ombra delle case, fervono le attività artigianali, le proposte agrituristiche, la consolidata ristorazione dell’altipiano. Storia e leggenda sono capaci di insinuarsi in maniera discreta e quasi impercettibile nel cuore del viandante, lungo un altipiano dove sin dalla notte dei tempi l’uomo ha dovuto rispettare la legge di madre Natura. Pietra e vento hanno dettato sentieri, campi e ripari. L’uomo ha intuito e concretizzato i luoghi della propria esistenza. Nulla è di più.

Villaggio del Pescatore e dintorni
Proseguendo verso Trieste, svoltando a destra dalla strada principale, si scende al Villaggio del Pescatore, dove opera il Gruppo Speleologico Flondar. Questo ha allestito una mostra perenne nel museo al centro del paese che si sviluppa secondo una cadenza cronologica, iniziando dalla recente scoperta nelle immediate vicinanze del Villaggio del Pescatore di una fauna risalente a 85 milioni di anni fa e inglobata in una matrice di calcari cretacei. Il giacimento fossilifero - che si prospetta come il più ricco d’Europa - ha restituito finora lo scheletro completo di un dinosauro erbivoro, ma i sondaggi hanno accertato la presenza di altre specie di animali coevi. Questo dinosauro, chiamato dagli studiosi Antonio, può ritenersi il primo “abitante” conosciuto della nostra zona.
Con brevi spostamenti dal Villaggio e possibile visitare alcune rinomate stazioni preistoriche in caverna, come la Grotta Azzurra di Samatorza, oggetto di numerose campagne di scavo, e il Riparo di Visogliano, dove le ricerche - tuttora in corso - hanno messo in luce un livello del Paleolitico, datato 400mila anni. Venendo a tempi meno remoti, la zona è caratterizzata dall’esistenza di resti d’epoca romana, tra i quali vanno segnalati per la loro agevole visibilità quelli della Mansio con bei pavimenti musivi, situata all’interno del comprensorio dell’Acquedotto Randaccio. Di straordinario interesse è la grotta nella quale è stato scoperto nel 1963 un sacello dedicato al culto misterico del dio Mitra; il tempio è stato ricostruito dalla Soprintendenza di Trieste ed è l’unico Mitreo in cavita naturale d’Italia. Attorno alle risorgive del Timavo si dipartono in varie direzioni solchi incisi nella roccia, probabili relitti di una viabilità forse di origine preistorica, legata alla presenza dei cinque Castellieri dell’Ermada ed utilizzata dai romani, i quali si scontrarono qui nel 178 a.C. con gli Istri di Re Epulo. Mediante un plastico a grande scala è stato ricostruito l’aspetto della zona come doveva presentarsi duemila anni fa, quando la morfologia costiera era alquanto diversa a causa del livello marino inferiore di circa due metri rispetto a quello attuale. Il periodo medioevale può essere rappresentato dai due castelli di Duino. Un altro testimone di quest’epoca è la chiesa gotica di San Giovanni in Tuba, costruita sui resti di una
basilica paleo-cristiana della quale rimangono alcuni tratti di muro e un pavimento a mosaico. Ampia parte dell’esposizione è dedicata alla Prima Guerra Mondiale ed è costituita da numerose immagini - quasi tutte inedite - riprese nel periodo in cui si svolsero qui la X e l’XI Battaglia dell’Isonzo (maggio - settembre 1917), con le quali l’esercito italiano tentò di aprirsi la via verso Trieste. L’Ermada: era presidiato dall’esercito austroungarico, che vi aveva costruito un articolato sistema di appostamenti difensivi, dei quali sono rimaste numerose caverne, bunker, osservatori e cinque grandi grotte naturali attrezzate a rifugi sotterranei, meta frequente di visite guidate. Molte fotografie illustrano le distruzioni dei bombardamenti sui paesi attorno all’Ermada e sul Castello di Duino, nel quale c’era una guarnigione militare. Un plastico rappresenta tutta la zona attorno all’Ermada come la videro i soldati austro-ungarici e italiani, morti a migliaia su queste pietraie. La Seconda Guerra Mondiale vide quest’area, ancora una volta, teatro di avvenimenti drammatici che portarono alla distruzione, per rappresaglia, di alcuni paesi da parte dalle truppe tedesche. Una sezione della mostra è dedicata infine alle origini del Villaggio del Pescatore, con il primo nucleo di dieci case erette a ridosso del Promontorio Bratina, agli inizi degli anni ‘50. L’abitato andrà sviluppandosi negli anni seguenti, accogliendo le famiglie di comunità provenienti dalle cittadine della costa istriana, costrette all’esodo alla fine della guerra.

Dinosauro Antonio, il più grande e completo dinosauro italiano
La scoperta dei primi resti fossili avvenne verso la fine degli anni ’80, ad opera di alcuni appassionati. Questi avevano individuato in una zona adiacente alla riva, nei pressi di una cava abbandonata, tracce di organismi fossilizzati. Questa segnalazione diede l’avvio, nei primi anni ’90, ad una campagna di scavo preliminare data in concessione dal Ministero al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Uno dei reperti rinvenuti era una coppia di zampe perfettamente conservata in connessione anatomica. Le caratteristiche individuate da questi primi resti fossili determinarono l’appartenenza al gruppo dei dinosauri. Il caso ha voluto che ad una studentessa, al termine del suo corso di studi alla facoltà di Scienze Geologiche dell’Università degli Studi di Trieste, fosse assegnata una tesina in Rilevamento geologico proprio in quella zona. Nel rilevare l’area, era aprile del 1994, scorse tra le rocce calcaree un affioramento che presentava in superficie una zampa anteriore di un rettile fossile. Fu la scoperta di quell’esemplare ormai noto che familiarmente chiamiamo Antonio. Ciò spinse il Ministero ad intraprendere una nuova campagna di scavi molto più approfondita negli anni 1996-1997. La posizione stratigrafica verticale degli strati fece presupporre la continuità di questa zampa anteriore in profondità facendo ipotizzare anche la presenza di uno scheletro completo. Lo scavo venne effettuato dalla ditta “Stoneage” di Trieste, esperta in scavi paleontologici e in accordo con l’Università degli Studi di Trieste, negli anni 1998-1999. Emersero oltre all’individuo pressoché completo, anche una ricca fauna comprendente altri esemplari di dinosauro della stessa specie, uno di questi soprannominato Bruno e delle ossa disarticolate di altri esemplari, fossili di coccodrilli primitivi, pesci, gamberi e resti vegetali. Ci sono voluti sei mesi di lavoro sul terreno e 3500 ore di preparazione in laboratorio per estrarre il più grande e completo dinosauro italiano ed europeo. E’ stato necessario ricorrere a metodologie particolari per estrarre i fossili dalla roccia, sia in fase di scavo che nei successivi interventi di preparazione. La giacitura verticale degli strati e la morfologia del terreno di fatto impedivano gli approcci tradizionali. In maniera del tutto innovativa, valutati i rischi ed i vantaggi, si è effettuato un taglio orizzontale della lente fossilifera, ad una profondità media di due metri dalla superficie. Un altro taglio, sempre eseguito con un cavo ad inserti di diamante, è stato eseguito perpendicolarmente al primo. Si sono creati così due gradi di libertà nella compagine rocciosa che, combinati alla naturale fratturazione del calcare hanno isolato una serie di grandi blocchi, movimentati poi dagli escavatori. Anche la preparazione è stata condotta con tecnologie d’avanguardia. Appurato che la differenza di chimismo tra fossile e matrice era marcata, mentre la discontinuità meccanica era irrilevante, si è calibrato un attacco con soluzione acida tamponata, attraverso un’apposita serie di pompe a circuito chiuso, riuscendo a sciogliere la roccia senza danneggiare i reperti in essa contenuti. Il metodo, se pur noto, non era mai stato applicato a fossili della mole di un dinosauro. In effetti proprio le dimensioni dei blocchi di roccia, il loro peso, la microfratturazione interna e la delicatezza di alcune strutture fossili, hanno creato ai tecnici della Stoneage non pochi problemi, risolti con un lavoro di equipe che ha coinvolto anche esperti internazionali del settore. Questo giacimento fossilifero rappresenta una delle più importanti scoperte della paleontologia italiana del XX secolo. Sono a tutt’oggi gli unici dinosauri ritrovati in Italia in corrispondenza stratigrafica e gli unici ancora oggetto di scavo sistematico e ricerca scientifica. Risale al dicembre 2009 l’attribuzione del dinosauro Antonio al gruppo degli adrosauroidi, parenti stretti degli adrosauri americani dal becco d’anatra. La presenza di questi rettili terrestri nel Nord-Est d’Italia ha costretto ad una sostanziale revisione della concezione paleogeografica del Carso Triestino nel Cretacico Superiore, che si credeva essere un ambiente marino o lagunare. Gli ultimi studi ipotizzano invece la presenza in questa area di terre emerse, molto probabilmente un arcipelago di isole, dove in periodi di regressione marina si creavano lingue di terraferma che collegavano un’isola all’altra.

Lasciando il Villaggio del Pescatore, ritornando sulla strada statale, si arriva quasi subito a Duino. Qui la tappa per visitare il Castello di Duino e fare una passeggiata sul sentiero Rilke è d’obbligo.

Il castello di Duino
Il Castello di Duino è arroccato su uno sperone carsico di alte falesie a picco sul mare, con un panorama mozzafiato su tutto il golfo di Trieste. Il magnifico parco che lo circonda, con i suoi terrazzamenti a picco sul mare, con i suoi viali, le aiuole multicolori, le statue e i reperti archeologici, contribuisce ad arricchirne il fascino con una nota romantica senza eguali. I Principi della Torre e Tasso, proprietari del Castello, hanno deciso di aprire al pubblico per visite sia il parco, sia gran parte della loro signorile dimora, ricca di importanti capolavori d’arte e raffinati cimeli storici. Il castello, che sorge sulle rovine di un avamposto romano ed è stato costruito nel 1300, si presenta come una costruzione composita e massiccia che domina il Golfo di Trieste. Il percorso di visita dura circa un’ora e mezza e dà modo di ammirare la ricca varietà della flora mediterranea del parco, i preziosi arredi all’interno dell’edificio, numerosi documenti storici, lettere originali, foto di famiglia e stampe d’epoca. Nel corso dei secoli numerosissimi gli ospiti illustri che hanno soggiornato al castello: Elisabetta d’Austria (detta Sissi), i conti di Chambord, l’Arciduca Massimiliano d’Asburgo con la moglie Carlotta del Belgio, l’Arciduca Francesco Ferdinando, Johann Strauss, Franz Liszt, Paul Valer, Gabriele D’Annunzio e soprattutto il poeta Rainer Maria Rilke, che qui compose le prime due delle famose Elegia e Duinesi. Sono visitabili più di 18 sale perfettamente arredate, ricche di testimonianze che raccontano la lunga storia della famiglia della Torre e Tasso. Di particolare rilievo il fortepiano suonato dal Liszt, la scala Palladio (un capolavoro di architettura), il panorama a 360 gradi che si gode dall’alto della torre, i bastioni a picco sul mare e il Bunker costruito nel 1943 dalla Kriegsmarine tedesca. Dal 2010 i visitatori hanno l’opportunità di raggiungere e visitare i ruderi del Castello Vecchio, risalenti al primo secolo dell’anno Mille, che sorgono sui resti di un tempio druidico dedicato al Dio Sole. Ripulito e messo in sicurezza, è accessibile a gruppi, su prenotazione e in orari prestabiliti.
Durante la visita al castello è possibile visitare anche il bunker che ha una superficie di 400 m2. per una profondità di 18 m. Fu costruito nel 1943 dall’Organizzazione TODT per la Kriegsmarine tedesca a difesa della base di Sistiana contro un eventuale sbarco alleato. Molti abitanti locali, prima che il bunker fosse armato di cannone, si rifugiavano all’interno, quando scattava l’allarme per i bombardamenti. Dal 1945 al 1954, il bunker ospitò un deposito carburanti dell’Esercito Inglese. Dal 2006 è stato aperto al pubblico a testimonianza di quei tragici anni.

Riserva Naturale Regionale Falesie di Duino
La Riserva regionale naturale delle Falesie di Duino rappresenta non solo lo splendido punto di ingresso nel territorio del Comune di Duino Aurisina. ma un eccezionale balcone su cui affacciarsi per godere l’incantevole bellezza del golfo di Trieste. Istituita nel 1996, la Riserva delle Falesie di Duino si estende per 107 ettari in una fascia ristretta dove è possibile osservare il paesaggio dal dominio biogeografico medioeuropeo a quello mediterraneo. Elevato risulta pertanto il grado di biodiversità che si accosta ad un paesaggio di rara bellezza, caratterizzato da bianchi ciglioni calcarei a picco sul mare. Il sentiero intitolato al poeta boemo Rainer Maria Rilke, inaugurato nel 1987 per complessivi 1700 metri, permette di accedere alla Riserva naturale da Sistiana o da Duino (parcheggi) e il suo andamento pressoché pianeggiante consente a tutti di affrontare la passeggiata per ammirare la morfologia delle rocce e la ricchezza della flora e della fauna protetta. Le Falesie di Duino sono l’unica stazione a livello mondiale della Centaurea kartschiana, una pianta che cresce sulla parte delle Falesie più vicina al mare. Da osservare con attenzione sono pure i fenomeni di carsismo di superficie, derivati dall’erosione dell’acqua sulle superfici calcaree. L’azione della pioggia produce gli spettacolari campi solcati, le scanellature e le vaschette, ma può addirittura perforare la roccia, dando così la possibilità alla vegetazione di emergere anche tra le pietraie. La bianca roccia calcarea è protagonista nella Riserva, sia come singoli torrioni lungo la costa, sia come affioramenti rocciosi lungo il ciglione, ben modellati dai fenomeni di carsismo. Lungo il ciglione delle Falesie, tra il Castello nuovo di Duino e la baia di Sistiana, costeggiando i resti delle postazioni militari, si snoda il Sentiero Rilke dal quale si può ammirare il vasto panorama sul golfo di Trieste, dalla foce dell’Isonzo fino a Punta Salvore in Croazia.

Il sentiero Rilke

Inaugurato nel 1987, e allungato nel 2000, il Sentiero Rilke, dato in gestione alla Provincia di Trieste fino al 2012 dal Principe Raimondo della Torre e Tasso, si sviluppa per quasi 2 km. lungo il margine della falesia carsica, vale a dire nel tratto più pittoresco e spettacolare della nostra costa, con un panorama che scivola sul mare del golfo di Trieste, racchiuso tra la costa istriana e le secche di Grado. In considerazione del gran pregio naturalistico, la zona compresa tra la SS 14 e un tratto di mare, delimitata a est dal campeggio e dalla baia, e a ovest dall’abitato e dal castello, nel 1996, con la Legge Regionale è stata tutelata come “Riserva Naturale Regionale delle Falesie di Duino”, prendendo come simbolo proprio l’Algyroides nigropunctatus, una lucertola balcanica che ha qui il suo limite estremo. Il percorso inizia dal parcheggio davanti alla palazzina degli uffici per l’informazione turistica, dove si trovano le tabelle che illustrano il percorso. La passeggiata è interrotta da cinque belvedere situati in posizioni strategiche, il primo, a quota 60, ancora nel tratto delimitato a monte dalla recinzione del campeggio, offre la vista sulla sottostante baia di Sistiana. Superato il campeggio e il rifugio Rilke si sale una “griza” e dei campi solcati per raggiungere quota 87. Protetta da un muretto, c’è una piazzola che consente una visione anche sul Carso: qui durante la seconda guerra mondiale era situato un cannone antiaereo. Sotto questo belvedere si apre un bunker e scendendo alcuni gradini, si raggiunge una cavernetta, dove una finestra naturale si affaccia sulla parete a strapiombo sul mare. Continuando la passeggiata lungo tratti che si affiancano al vuoto, protetti da staccionate, ci si immerge nella vegetazione davvero straordinaria del luogo. Sul Rilke si osserva, a monte, la tipica vegetazione illiricobalcanica del bosco carsico infiltratosi nella pineta, mentre lungo il margine della falesia, sulle pareti e tra le rocce, è predominante quella mediterranea, ma che si coglie soprattutto nelle specie arbustive e nei fiori. Proprio tra questi abbiamo un endemismo unico, ristretto solo in questa zona: la Centaurea kartschiana. Le Falesie di Duino sono formate – come l’intero altipiano carsico – da rocce carbonatiche, nate nel Cretaceo (120 milioni di anni fa) dalla sedimentazione di gusci di animali planctonici sul fondo di un mare poco profondo, la Tetide. Circa 50 milioni di anni fa, nell’Eocene, il fondo marino è stato portato verticalmente in superficie grazie alle spinte della zolla continentale africana contro quella baltica, andando così a creare gli aguzzi torrioni a strapiombo sul golfo. Malgrado buona parte della superficie della Riserva sia coperta dalla fascia di pini neri che divide la Strada statale 14 dal Sentiero Rilke, la zona posta sotto tutela rende evidente il passaggio dal bosco alla macchia mediterranea, composta in maniera prevalente da lecci e carpini, i quali, man mano ci si avvicina al mare, lasciano spazio agli arbusti (terebinto, marruca e soprattutto scotano) e alla vegetazione rupicola. Sui macereti e negli anfratti crescono in particolare il ciliegio canino e la Centaurea kartschiana, pianta endemica dai fiori rosa-viola. Questo è l’habitat adatto per i rettili (serpenti, vipere e lucertole) e la nidificazione degli uccelli sedentari quali il passero solitario, il gabbiano reale e il corvo imperiale, ma non va dimenticato il falco pellegrino, già inserito nella lista degli animali in pericolo, che ha trovato rifugio nelle zone più inaccessibili delle Falesie. Tra l’autunno e la primavera è facile vedere varie specie migratorie o svernanti, come gli svassi, mentre la pineta ospita fringuelli, ghiandaie, picchi, sparvieri e scoiattoli. Emozionante è il panorama offerto dalle alte rocce di calcare, interrotte da profonde spaccature dove l’azione degli agenti atmosferici, su strati verticali, ha modellato erti pinnacoli e guglie slanciate protese verso il cielo, o lisce pareti che strapiombano vertiginosamente sul mare. In poche centinaia di metri possiamo osservare tutti i fenomeni di carsismo di superficie: massi rigati dalle scannellature o bucati da fori di dissoluzione, vaschette di corrosione, grize di pietre incoerenti e ovunque campi solcati coperti da cespuglietti. La pietra è dominante sul Sentiero Rilke. Il terzo belvedere mantiene la quota 86. È formato da uno spiazzo aperto tra alcune rocce che fanno da parapetto e dal quale si può avere una bella panoramica sul Castello di Duino. Dopo circa 1300 metri di percorso, un sentiero piega nel bosco e consente di raggiungere la SS14, invece il Rilke prosegue verso quota 83, in origine per alloggiare un pezzo antiaereo. A 1700 metri, una deviazione permette di raggiungere la SS14, mentre il sentiero continua fino a Duino, dove inizia il tratto per i disabili lungo circa 20 metri (fatto a cura della Regione nel 2003) che porta al quinto belvedere da dove si può ammirare tutta la falesia e il Castello di Duino della famiglia dei Principi della Torre e Tasso aperto al pubblico dal 2003.

Dopo Duino la strada porta a Sistiana, conosciuta soprattutto per la Baia di Sistiana, rinnomata spiaggia per la balneazione estiva. In questo piccolo gioiello dell’Adriatico, l’acqua limpida, subito profonda, dai fondali rocciosi, rende la meta ideale per gli amanti del mare e per gli appassionati di immersioni. Di giorno è luogo ideale per le famiglie anche con bambini piccoli, dove una pineta permette di ripararsi dal sole cocente. La sera, invece, ci si può rigenerare al fascino romantico del tramonto, assaporando un buon calice di vino, stuzzicando le delizie tipiche dei luoghi.

In centro a Sistiana, per arrivare ad Aurisina, bisogna svoltare a sinistra, altrimenti si prosegue per Trieste. Per conoscere Aurisina bisogna assolutamente percorrere il Percorso didattico.

Il percorso didattico
Il percorso didattico è un itinerario circolare che inizia e si conclude presso la scuola media Igo Gruden. È suddiviso in 11 stazioni che evidenziano le caratteristiche geografiche, naturali, storiche, culturali e architettoniche più rappresentative di Aurisina. Dal cortile della scuola ci si avvia verso il Sentiero dei pescatori (Ribiška pot) in direzione del mare. Dopo aver attraversato le due linee ferroviarie si scende per le scale di pietra carsica fino alla vedetta Pod Oljščico. Da qui si gode un pittoresco panorama sulla costa e il porticciolo di Aurisina, i vivai dei mitili e sull’intero golfo di Trieste. La terza stazione è denominata Brščice, alla quale si accede attraverso il sentiero Za vodico, che porta a S. Croce, denominato anche Sentiero di J. Kugy. Vi si possono notare alcuni fenomeni di carsismo, la tipica macchia mediterranea e la pineta. Giunti all’incrocio bisogna deviare in salita verso sinistra in direzione NE per arrivare quindi alla torre piezometrica. La torre è stata elevata ai tempi della costruzione della ferrovia meridionale per il rifornimento dell’acqua alle locomotive. Dalla torre si può godere di un bellissimo panorama sul golfo e dintorni. Attraversando la pineta si arriva in prossimità dell’incrocio tra la Strada provinciale e quella che porta a S. Pelagio. Da qui si devia a sinistra verso la casa natale del poeta Igo Gruden, quindi a destra fino alla Piazza s. Rocco. Vi si può visitare la chiesa parrocchiale e, sul lato opposto, il monumento ai caduti durante il secondo conflitto mondiale. Dal lato sinistro della chiesa uno stretto viale ci porta fino al monumento al poeta Igo Gruden (1893-1948). La stazione successiva è Kržada, una piazzetta al centro del vecchio nucleo di Aurisina, dove si possono ammirare le varie strutture dell’architettura carsica. Sul lato nordorientale del paese vecchio si devia verso le aree coltivate; trattasi per lo più di vigneti. Si scende quindi verso l’avvallamento denominato Lišček, che è la più estesa dolina carsica della zona. Prima ancora, deviando verso sinistra, notiamo un altro avvallamento, Šišček, nel quale è collocato il cimitero ai caduti nella grande guerra. Da qui si scende nella parte opposta verso la dolina Lišček, che nella maggior parte della superficie è coltivata. E’ interessante per il suo microclima, per la sua vegetazione e per la presenza dell’abbeveratoio naturale. Risaliti dalla dolina, percorriamo un tratto di sentiero piuttosto stretto per la folta vegetazione. L’itinerario continua attraverso il sottopassaggio dell’autostrada in direzione di Aurisina. In prossimità del cimitero si sale verso destra seguendo il Sentiero dei pescatori. Arrivati alla strada provinciale la si attraversa in prossimità del distributore di benzina e si giunge quindi al laboratorio marmifero, dove è possibile conoscere più da vicino quella che per tanto tempo è stata l’attività più significativa di Aurisina e della zona circostante. Raggiunta nuovamente la scuola media ha termine il percorso didattico. A passo sufficientemente agile ma anche prestando una considerevole attenzione alle singole stazioni si può percorrerlo in circa due ore.

Sentiero dei pescatori
È un’antica strada usata dai pescatori di Aurisina per recarsi al mare per la pesca al tonno, con le tipiche barche dette zoppoli o “čupe”, particolari imbarcazioni scavate in un unico tronco, da cui prendono il nome la spiaggia e il porticciolo di Aurisina. Per raggiungere il sentiero da Aurisina si seguono le indicazioni per la scuola media Igo Gruden o per il Sentiero dei pescatori. La strada scende ripida dalla scogliera verso le acque del Golfo, immersa in paesaggi unici sospesi fra cielo e mare. La via del ritorno avviene lungo lo stesso percorso.


Sentiero della salvia
È un percorso panoramico sul costone tra Aurisina e Santa Croce. La strada ampia e comoda è sempre riparata dal vento anche nei periodi di Bora. Il percorso è in gran parte ricoperto dalle piante di salvia e santoreggia. Il panorama abbraccia il Golfo di Trieste e la Laguna di Grado. Dal sentiero si può deviare, dopo una breve salita, per raggiungere la vedetta Liburnia, dalla quale si gode uno dei panorami più belli della costa. Il sentiero inizia ad Aurisina, dove è possibile parcheggiare presso la scuola Igo Gruden, alla cui sinistra parte il sentiero. Il ritorno avviene seguendo lo stesso percorso.


Enogastronomia
Agriturismo
Accanto alle frasche, anche sul Carso sono fiorite in questi ultimi anni delle nuove e interessanti aziende agrituristiche, capaci di coniugare l’offerta di soggiorno con quella eno-gastronomica. Nel relax di magioni circondate dal verde, gli ospiti potranno gustare dei piatti genuini realizzati con primizie e carni di produzione locale.
Ristorazione
Per gli amanti della ristorazione classica, l’offerta presente nei dintorni della Via Gemina riuscirì a soddisfare i palati più esigenti. All’insegna della tradizione carsolina, dove gli ingredienti più semplici riescono a esaltarsi in portate sostanziose e decise, le ricette dell’altipiano riusciranno a soddisfare gli amanti di una cucina che affonda le proprie radici nelle più autentiche tradizioni popolari.
Osmizza
Quando appare la piccola frasca d’edera con la freccia indicatrice, non vi sono dubbi. Questo caratteristico segnale informa che vicino a qualche tratto di Gemina è aperta un’“Osmiza”, tradizionale rivendita temporanea di vino, autentica istituzione popolare che affonda le radici nel passato austro-ungarico triestino.
Vini
La vite del Carso è un miracolo scaturito dalla tenace gestione di un territorio virile, ardito, privo di compromessi. Le pergole d’uva appaiono come un miraggio nella frastagliata e scoscesa dinamica dell’altipiano. Per i cultori del raspo caro al meraviglioso Bacco, il rosso Terrano, la bianca Malvasia, le inedite e autoctone Vitovska e Glera offriranno degli istanti di intenso appagamento. Un punto di partenza per conoscere quei produttori che stanno lavorando a tutto campo per valorizzare dei vigneti dalle potenzialità intatte e, per molti versi, assolutamente inedite.

La Strada del vino Terrano
Sul Carso viene prodotto il famoso vino scuro, il Terrano. Nasce dal vitigno del Refosco, ma la terra rossa del Carso lo fa diventare unico, di un colore rosso rubino intenso con riflessi violacei. Il Terrano, che si sposa benissimo con il prosciutto crudo del Carso (Kraški Pršut), è un vino particolarmente indicato per le persone anemiche. Le sue proprietà erano note giin epoca romana ed era particolarmente amato dall’imperatrice Livia, che attribuiva a questo vino la sua longevità (visse fino a 85 anni nel I sec.d.C.!). La “Strada del vino Terrano” che da Visogliano si snoda fino a Opicina, comprende 18 trattorie, nelle quali la cucina tipica è accompagnata al Terrano. Le trattorie aderenti sono individuabili tramite un’apposita segnaletica “Strada del vino Terrano” davanti al locale. LEGGENDE SUL CARSO

Le leggende

La pietra del Carso

Narra la leggenda che in principio il Carso era una terra verde e feconda, piena di prati, boschi e torrenti dalle fresche acque. Un giorno il buon Dio si accorse che, in un angolo della terra, c’era un grosso cumulo di sassi che danneggiava l’agricoltura ed incaricò così l’Arcangelo Gabriele di raccoglierli e gettarli in mare. Allora Gabriele riempì un pesante sacco e si diresse in volo verso l’Adriatico. Quando si trovò in prossimità del Carso il diavolo lo vide e, incuriositosi, bucò il sacco con le corna. Che disastro! Tutte quelle pietre si riversarono a terra e ridussero l’altipiano in una enorme pietraia.

La Bora

Secondo un antico racconto Bora è una strega che abita nelle caverne del Carso per nascondersi alla vista degli uomini. Durante l’inverno esce furiosamente dal suo rifugio e, in compagnia del figlio Borino, devasta ogni cosa con i suoi refoli violenti e gelidi. Invano gli uomini hanno tentato di imprigionarla nel suo antro con muri di grosse pietre, ogni volta e con impeto maggiore, prorompe fino al mare. Legata ad altre tradizioni è la leggenda, secondo la quale Bora era una dolce ninfa abitante dei boschi carsici. Soffiava durante l’estate per portare refrigerio agli uomini che lavoravano questa dura terra. Un giorno arrivarono da lontano degli uomini bellicosi che qui vi costruirono le loro dimore. Accadde che uno di essi uccise il Dio tanto amato da Bora, e la ninfa, per vendetta, si mise a soffiare gelida e con violenza inaudita. Così divenne nemica degli uomini e da allora ogni inverno fa sentire la sua fredda rabbia.

Prosciutto e Terrano

Si racconta che un giorno Gesù andasse camminando faticosamente attraverso i vari paesi del Carso. Viaggiava solo con un po’ d’acqua e del prosciutto nella bisaccia. Quando fu ora di mangiare, Gesù prese la sua bisaccia e si accorse che il prosciutto non c’era più Qualcuno lo aveva infatti derubato. Un’espressione di sdegno si disegnò allora sul volto di Gesù che disse: “D’ora in poi chiunque abiterà sul Carso avrà scarsezza d’acqua, perché in tal modo, mai più deve estinguersi la sete di colui che mi rubò il prosciutto”. E fu così che tutte le acque sparirono nel sottosuolo. Ma il Diavolo, sentendo le parole di Gesù decise di fargli un dispetto regalando agli abitanti del Carso il buonissimo vino Terrano. È così che il Carso ebbe prosciutto e terrano.

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